Foreste piene di cibo

Tra i vari tentativi di trovare un punto d’incontro tra agricoltura e protezione dell’ambiente, negli anni si è cercato di trovare soluzioni alternative che potessero assicurare cibo all’uomo e, allo stesso tempo, biodiversità. Meglio ancora se con un risparmio notevole di energie.
È il caso di quelli che vengono chiamati food forest o forest gardening, dei veri e propri ecosistemi boschivi votati però alla produzione di cibo.
Ma da dove nasce l’idea? Naturalmente da un bisogno: nelle aree tropicali e monsoniche, per conservare in sicurezza il cibo e rendere l’ecosistema stesso più resiliente, fin da tempi remoti venivano create queste foreste protette dove, oltretutto, le specie indesiderate venivano facilmente individuate e eliminate.
Ancora oggi, in queste aree della terra, le food forest sono molto diffuse, bolle di biodiversità e specie rare, spesso paragonate al Giardino dell’Eden: in Nepal, Zimbabwe, Tanzania e India sono conosciute come home gardens, in Sri Lanka come Kandyan forest gardens, in Messico sono chiamate huertos familiares.
Il merito di aver applicato il concetto alle aree temperate si deve però a Robert Hart, che negli anni Ottanta del secolo scorso ne teorizzò perfino la struttura. Sperimentò la sua teoria dei sette livelli, basati sulle consociazioni, per trasformare una piccola serra di meli e peri in un progetto policolturale.


Ma quali sono i famosi sette livelli?

  1. Canopy layer. È quello dei giganti: comprende infatti gli alberi da frutto più grandi, come i noci.
  2. Low-tree layer: alberi da frutto nani.
  3. Shrub layer: frutti a cespuglio come mirtilli e more.
  4. Herbaceous layer: vegetali perenni e erbe.
  5. Rhizosphere: tuberi e radici edibili.
  6. Grand cover layer: piante che crescono in orizzontale, come le fragole.
  7. Vertical layer: viti e rampicanti.

Le piante che vanno a comporre ogni strato vanno scelte, con cura, tra quelle che preferiscono posizioni ombreggiate. Il bosco non avrà bisogno né di potature, né di trattamenti, né tantomeno di lavorazioni del terreno; produrrà biomassa grazie all’equilibrio tra i vari componenti. L’unica accortezza sarà quella di piantare esemplari nuovi ogni anno, in modo da assicurare un certo ricambio genetico.
Questo impianto fu poi adottato anche per la permacoltura, termine coniato da Bill Mollison a seguito di una visita che fece, nel 1991, proprio alla forest garden di Hart, senza contare che funse da ispirazione per l’organizzazione di Ked Fern, Plants for a Future, un vero e proprio database di piante – anche acquatiche, come la lenticchia d’acqua o la typha – adatte a food forest in climi temperati.

 

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